(Salvatore Augello) - Ricorre oggi il 63° anniversario della proclamazione dell’Autonomia Siciliana, data importante che riconosceva al popolo siciliano almeno in parte, il diritto all’autodeterminazione, seppure strettamente connessa all’unità nazionale. L’importante riconoscimento, ha una sua radice che affonda nei secoli e non è certo nuova.

La Sicilia può fregiarsi della istituzione del primo parlamento d’Europa, giacché venne istituito nel 1129, con lo scopo di controllare la monarchia. Esso era costituito dai rappresentanti dei nobili siciliani, dai rappresentanti della chiesa, dai rappresentanti delle città libere. Nel 1130, la Sicilia diventa regno ad opera dei normanni, infatti, nel dicembre del 1130, nel duomo di Palermo, Ruggero II viene incoronato re di Sicilia. Sotto i normanni, la Sicilia conobbe grande prosperità, autonomia e si impose per la cultura e per il modo di governare, garantista, laico, e rispettoso dei diritti delle persone. Dopo secoli segnati dai fasti della corte normanna, di cui si conservano resti importanti in tutte le città siciliane, la Sicilia conosce un periodo di decadenza sotto i Borboni. Si deve infatti a Re Ferdinando di Borbone IV di Napoli e III di Sicilia, il 15 maggio del 1815, lo scioglimento del parlamento siciliano inaugurato il 19 luglio 1812. Uno scioglimento d’iperio che segna la fine del governo autonomo del regno di Sicilia. Re Ferdinando abbandona Palermo e si trasferisce a Napoli, nominato luogotenente generale per la Sicilia ilo figlio Frasncesco. Abolita la costituzione approvata nel 1812, Ferdinando di Borbone nel dicembre del 1816 emana, cancellando il regno di Sicilia, l’atto di unione dello stesso a quello di Napoli. Nasce ij questo modo il regno delle due Sicilia, come venne battezzato dall stesso Ferdinando di Barbone. Ma la lunga permanenza dei normanni e del loro modo di governare, fece si che la Sicilia fosse terra fertile per le nuove idee che venivano nascendo in Europa e che portavano l’idea di indipendenza, di repubblica, ma anche di unità nazionale. Diverse furono le tendenze che determinarono i moti più importanti che coinvolsero la Sicilia ed il suo popolo. Nel 1820 – 21, si ebbe una grande rivolta di segno separatista, che venne soffocata nel sangue dal generale Colletta, che riuscì ad avere ragione dei “ribelli”. Dopo un periodo di relativa calma, la Sicilia si ritrova protagonista nel moti del 1848 – 49, che nell’Isola, ebbero la tendenza federalista. L’esperienza durò 16 mesi, dopo di che, anche questa venne soffocata nel sangue e la città di Palermo, estremo baluardo della rivolta, cadde 1l 15 maggio del 1849. Si arriva così all’impresa garibaldina del 1860, quando abilmente manovrata da Francesco Crispi, si ebbe l’insurrezione del 4 aprile 1860, che servì a spianare la strada a Garibaldi, che con i suoi Mille conquisto la Sicilia consegnandola alla Casa Savoia. La tendenza di Camillo Benso Conte di Cavour, primo Presidente del Consiglio del primo governo del Regno d’Italia, che era per il decentramento, aveva fatto nascere parecchie speranze negli autonomisti siciliani, speranze destinate a restare deluse, poiché invece della linea del decentramento cara a Cavour, passò quella dell’accentramento dello stato voluta dal Parlamento di Torino. I problemi socio economici della Sicilia, confluirono nella così detta “questione meridionale”, dove convergono tutti i problemi del sottosviluppo dell’Italia meridionale ed insulare, che non troveranno soluzione ed acuiranno lo spirito autonomista del popolo siciliano. L’avvento della seconda guerra mondiale e del fascismo, smorzò per qualche tempo le velleità separatista e/o autonomista, fino allo sbarco degli alleati, quando i siciliani riconquistarono la propria libertà, anche se gli americani stavano favorendo la restaurazione del potere mafioso in diverse parte dell’Isola. Ripigliarono forza le spinte autonomiste, da un lato con Finocchiaro Aprile e Canepa, mentre la mafia tifafa per il separatismo ed ordinava la strage di Portella della Ginestra ad opera del bandito Giuliano. Questa serie di spinte contrastanti, ma tutte miranti all’autonomia, fecero sì che con reggio decreto n:91 del 18 marzo 1944, venisse nominato un Alto Commissario per la Sicilia, nella persona del Prefetto di Palermo On. Francesco Musotto, il quale venne chiamato a presiedere una consulta composta da 36 membri, per metà designati dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale e per metà di provenienza esterna, che avviò il grande esperimento di “autonomia regionale”. Lavoro, che dopo alterne vicende e dopo essere riuscito a mediare tutte le tendenze, era approdato ad uno statuto che contemplava l’autonomia siciliana nell’ambito dell’unità dello stato nazionale. Lo statuto così approntato, venne emanato dal re Umberto II di Savoia il 15 maggio 1946, ancora prima della Costituzione Italiana, che sarebbe nata dopo e della quale lo statuto siciliano, il 26 febbraio 1948 divenne parte integrante. Da allora ad oggi, quello che ne è stato dell’autonomia siciliana e sotto gli occhi di tutti, parecchi sono i problemi rimasti irrisolti e spesso lo stesso statuto è rimasto inapplicato a danno dei siciliani che da questo documento avevano ed hanno tutto il diritto di aspettarsi un miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Invece ad esso, sono seguite le grandi ondate migratorie che hanno spopolato la Sicilia a beneficio delle industrie del nord e di quelle del nord Europa, non si è fino ad ora riusciti a fare decollare un progetto di sviluppo economico che tenesse in considerazione le stesse risorse che il territorio siciliano offre per volgerle a beneficio di uno sviluppo più globale. Non c’è stata forza contrattuale sufficiente, anche per l’incuria dei parlamentari che avrebbero dovuto rappresentare gli interessi del popolo siciliano a Roma, invece di trastullasi all’interno dei palazzi del potere, dimentichi del proprio elettorato e dei doveri che il governo di Roma ha per legge nei confronti della Sicilia. La misura di quanto pesa l’autonomia oggi in Sicilia, a dispetto di tutti i movimenti autonomi e/o indipendentisti, viene data dai giornali di oggi, che non riportano nemmeno la notizia della ricorrenza, mentre l’emigrazione che vive anche di nostalgia e di affezione alla propria terra, proclama e ricorda la giornata dll’autonomia, facendone motivo di riflessione e di confronto.