(Salvatore Augello) - Ci sono voluti cinque anni, per capire che quella legge, pur ottima nell’impianto legislativo, andava rivisitata alla luce della recente esperienza quinquennale. Rivisitata nelle parti più corpose, come ad esempio la concessione di mutui agevolati, rivisitata nelle parti a suo tempo impugnate dal Commissario dello Stato, che impediva di dare contributi alle associazioni all’estero, per cui bisognava trovare il sistema di canalizzare attività verso le comunità emigrate.

A questa ultima esigenza, la risposta fu quella di usare il canale delle associazioni regionali, riconosciute dalla legge e richiamate nell’art. 9 della legge 25/75, che fissava e fissa tuttora criteri precisi per essere annoverati tra quelle istituzioni, come ad esempio essere già operanti tre anni prima dell’entrata in vigore della legge in questione. Più complicato, invece si dimostrò il tipo di intervento che doveva intervenire sui mutui, rendendoli appetibili. Per arrivare a questo, si dovette aspettare la legge n° 55 del 1980, che cambiò radicalmente il sistema relativo alla concessione dei mutui agevolati e sulla quale si operò un ulteriore intervento con la legge n° 38 del 1984. Innanzi tutto, aumentò la quantità di soldi da destinare ai singoli interventi, ma la norma più interessante fu quella che cambiava il rapporto mutuo – interessi. Mentre nella legge 25, l’intervento previsto sulla compartecipazione della regione sugli interessi era del 2%, come già detto, nella nuova legge, cambiando la logica, si prevedeva che a carico dell’emigrato, restava un tasso di interesse pari al 25% del tasso ufficiale, che in ogni caso non poteva essere inferiore al 3%. Dice infatti la norma, al comma 7 dell’art. 14 della legge 55/80, modificato con l’art. 17 della legge n° 38/84: “il concorso predetto si ragguaglia al 75% del tasso di interesse annuo a carico del mutuatario.” Al comma 8, sempre dello stesso articolo, viene poi ulteriormente precisato: “a cairco del mutuatario deve, in ogni caso, restare un tasso di interesse non inferiore al 3%”. Diverso fu l’intervento, invece, per quanto riguarda la possibilità di accedere a mutui per mettere in piedi una attività produttiva. Venne creato un fondo di rotazione di 50 .miliardi di lire, dal quale venivano prelevate le somme necessarie a concedere i mutui, si previde una incentivazione nel caso di formazione di cooperative. Furono provvedimenti e cambiamenti davvero importanti, che servirono a dare un senso a tutta la legislazione ed a perseguire, anche se nove anni dopo, gli obiettivi previsti nella prima legge: - un rilancio dell’edilizia privata – si ebbero parecchie milgiaia di richieste di prima casa – - un utilizzo delle professionalità acquisite all’estero, con l’apertura di diverse attività economiche, che poterono attingere al fondo di rotazione. Era certamente cambiata l’utenza, che non era più quella che era stata espulsa dal processo di ristrutturazione industriale dell’inizio degli anni 70, ma che era diventata quella composta da gente che avendo messo assieme un gruzzoletto, programmava un rientro con un successivo inserimento nel tessuto produttivo dell’Isola, o pensionati, che non avendo più vincoli di lavoro, si costruivano o acquisivano una casa e rientravano definitivamente nei propri paesi di provenienza. Un bel salto qualitativo in avanti, che riportò la Sicilia all’avanquardia rispetto alle altre regioni in materia di legge in favore delle proprie comunità emigrate. Lodevole l’impegno delle associazioni, che in giro per il mondo, contribuirono a divulgare la nuova legge, parlandone anche ai consolati oltre che direttamente con le comunità. L’Unione Siciliana Emigrati e Famiglie (USEF), che allora aveva la propria sede in Salita Santa Caterina a Palermo, accanto alla sede del Municipio, fece due pubblicazioni, che dal 1985 in poi fecero il giro del mondo, diventando insostituibile strumento di lavoro per gli operatori in Italia ed all’estero, che si occupavano delle problematiche migrazionali. Dico in Italia ed all’estero, perché la legge assisteva anche quei siciliani che si erano affidati ai flussi interni di emigrazione negli anni del boom economico, raggiungendo le fabbriche del Nord e dell’est, popolando città come Torino, Milano, Genova, e tante altre, dove vi era in quel tempo grande richiesta di personale. Per questi siciliani, la legge prevedeva le stesse cose che per gli emigrati all’estero, anche se modificava alcuni dei requisiti necessari, aumentando il tempo di assicurazione lavorativa in almeno cinque anni negli ultimi setti anni, mentre per quelli residenti all’estero era di tre anni negli ultimi cinque. Una pubblicazione fece anche l’INCA, che provvide a distribuirla a tutte le proprie sedi all’estero, che seguivano anche queste tematiche connesse alla legge regionale, oltre a fornire la normale assistenza istituzionale. (2/ continua)