(SA) - Parlare di emigrazione in un paese come Serradifalco è come guardare indietro per vedere da dove veniamo. Guardando la storia a ritroso ci accorgiamo che questo paese entra nel XX secolo con una popolazione di 10316 abitanti dediti all’agricoltura ed alle miniere di zolfo.

A metà dello stesso secolo XX, Serradifalco aveva già perso 1378 abitanti ossia il 13,36 della propria popolazione che già dall’inizio del secolo cominciava a scegliere la via dell’emigrazione, per sfuggire alle pesanti condizioni della mezzadria e/o del bracciantato, ma anche a quella delle miniere dove diventava sempre più pesante lavorare per retribuzioni del tutto insufficienti che spesso venivano pagati in natura con buoni spesa da utilizzare nel negozio del padrone o in negozi convenzionati che come molti documenti dimostrano, facevano la loro cresta con la scusa che dovevano aspettare che venissero onorati dai proprietari delle miniere. E’ nel ventennio successivo che Serradifalco riceve la botta più sostanziosa a carico dell’emigrazione. All’interno del ventennio che stiamo esaminando, troviamo le grandi battaglie per la terra, l’occupazione dei feudi Grotta Rossa e Giulfo. Troviamo anche la prima esperienza di cooperazione affidata all’epoca a Santo Buono, un contadino socialista che vi si dedico con fede e dedizione. Troviamo le lotte per l’applicazione del decreto Gullo che cambiava le regole della mezzadria e della divisione dei prodotti. Battaglie che non diedero i risultati sperati, per diversi motivi tra i quali certamente il fallimento della riforma agraria, la poca superficie delle quote assegnate che erano di mezzo ettaro, insufficiente a mantenere la famiglia. Alla crisi dell’agricoltura, si aggiunge la crisi delle miniere con gli alti e bassi del mercato, con la scarsa sicurezza all’interno delle stesse dove non era raro morire per crolli, scoppio di grisou ed altre sciagure. Tale crisi determino la fuga di parecchi minatori che cedendo ai manifesti così detti “rosa” affissi in tutti i paesi, che promettevano salari alti e condizioni di vita accettabili, ed ai reclutatori che si presentavano sulle piazze, lasciavano le miniere di Serradifalco per raggiungere le miniere di carbone della Vallonia in Belgio, della Grande Combe, St. Etiene, Firminy, Ales in Francia o le acciaierie di Marnaval e St, Dizier. La somma di tutto ciò, portò Serradifalco a presentarsi al censimento del 1971, con una popolazione di 6850 abitanti, con una perdita di 2087 unità pari al 23,34% della popolazione. Serradifalco passava così da 10316 a 6850 abitanti con una perdita non indifferente in cifra assoluta, del 34% della popolazione che diede vita a popolose comunità in Belgio ed in Francia ed altri piccoli concentramenti in altre parti del mondo comprese le Americhe. Non è certo un con se oggi Serradifalco si ritrova gemellato con Colfontaine in Belgio e con Toulon in Francia. Da notare, che mentre in Belgio la maggior parte dei nostri emigrati rimase fedele alla miniera, in Francia la comunità ebbe uno sviluppo diverso, che fece spostare la concentrazione dall’industria mineraria e siderurgica alla ristorazione, spostando il grosso ella comunità appunto a Toulon, dove ancora oggi esiste una buona generazione di pizzaioli che portano avanti la tradizione instaurata da pionieri come i Manta, gli Insalaco ed altri. L’invecchiamento delle prime generazioni e spesso purtroppo la loro morte, ha in qualche modo allentato i contatti con la terra d’origine. Quella terra che ricevette i benefici di questa emigrazione, perché molti dei soldi guadagnati ebbero un risvolto anche a Serradifalco, con le rimesse che arrivavano e che venivano spese in edilizia, in trasformazioni agricole, in economia circolante nei mesi estivi che vedevano ripopolarsi le strade ed i bar di Serradifalco, dove i giovani passavano le serate ed anche parte della notte a brindare ed a raccontarsi le loro esperienze. Quelle presenze estive avevano un significato. Si veniva perché vi erano ancora familiari, spesso i genitori, da venire a visitare o vi erano altri parenti con i quali si era in ottimi rapporti tanto da sentire il bisogno di fare loro visita. Ma c’era anche un fattore affettivo verso il paese, verso le proprie origini che spesso stavano alla base di queste numerose visite estive. C’era il ricordo di tradizionali feste come quella di San Leonardo che attirava i Serradifalchesi spasi per il mondo e che ora negli anni ha perso richiamo ed attrattiva anche a causa della data ballerina in cui viene tenuta. Le frequenti crisi economiche, la stessa chiusura del settore minerario dello zolfo e del carbone dopo la sciagura di Mercinelle ed altre che ve ne erano state prima anche in altre parti del mondo, l’allentamento del vincolo affettivo, hanno fatto si che i mesi estivi, almeno a Serradifalco, non hanno più la stessa attrattiva di una volta, perché i giovani ma anche gli anziani, spesso scelgono l’Emilia Romagna dove il turismo di massa permette prezzi inferiori a quelli siciliani o preferiscono la Spagna dove il turismo costa molto meno rispetto alla Sicilia che deve fare fronte al caro viaggio prima che con il caro soggiorno. Ma qualche cosa è successo nell’aprile del 2019. Il CGIE e la VII Commissione Permanente: Nuove Migrazioni e Generazioni Nuove presieduta da Maria Chiara Prodi hanno voluto realizzare un seminario rivolto ai giovani italiani nel mondo, che in 100 provenienti da tutto il mondo, si sono dati appuntamento a Palermo dove hanno esaminato l’emigrazione da diversi punti di vista. Hanno sviscerato problemi, ipotizzato soluzioni, portato esperienze a confronto, aspirazioni. Il risultato che più si è affermato in ogni caso, è stato un ritorno all’amore per la propria terra, per le proprie origini. Un sentimento nuovo quanto forte, che si è irradiato attraverso loro in tutto il mondo creando contatti internazionali in rete, nuove esperienze e nuovi sentimenti che si rafforzano sempre più. Anche in questo momento di pandemia, i giovani assieme a tutta l’emigrazione, non hanno mancato di fare sentire la loro voce, il loro calore. Ci sono regioni che da tempo cercano di potenziare la risorsa rappresentante dalle proprie comunità all’estero, la Sicilia è indietro rispetto a ciò, ma l’occasione fornita da questo bando non va trascurata e può essere un buon inizio per ripigliare e/o rafforzare contatti principalmente con le giovani generazioni, desiderosi di cercare la loro identità, le loro origini. Ed è su queste origini che dobbiamo lavorare. L’USEF da tempo lo sta facendo, ma ora è arrivato il momento di serrare le fila, di avere come obiettivo la ripresa economica di un comune, che se non inverte la propria rotta diventerà come tanti altri una grande casa anziani diffusa. Quello che bisogna invece affermare è un nuovo modello di economia che coinvolga tutto il comune e tutti i suoi figli ovunque essi si trovino. Preparare il comune a ricevere flussi migratori nuovi, gruppi di giovani e meno giovani, che tornano a visitare il proprio paese. Per questo l’idea di albergo diffuso per rendere disponibili strutture ricettive atte ad ospitare singoli e gruppi. Per questo la necessità di abbellire questo comune con opere che servono a descrivere ed illustrare la storia di un feudo che diventa Paese e la storia della sua gente che questo paese ha amato e continua ad amare. Rendere attrattivo il paese, tornare agli appuntamenti estivi di una volta attraverso le feste conosciuto a tutti i serradifalchesi che prima erano sicuri di venire e di potersele godere. Aggiungere nuovi eventi per richiamare l’attenzione dei nostri concittadini invogliandoli a ritornare a popolare le lunghe serate estive. Rilanciare un turismo sostenibile che parta dalla storia di queste terre per ricordare scene di vita, per tracciare percorsi tematici che alla storia ci riconducano. Riallacciare i contatti con le nostre comunità all’estero, anche attraverso un potenziamento dei contatti con associazioni che esistono sia in Francia che in Belgio e con le quali l’USEF è da tempo collegata. Rilanciare i due gemellaggi, riempendoli di contenuto, organizzando scambi, appuntamenti anche fieristici annuali, ospitalità estiva, tutto quanto ci può portare sia alla valorizzazione del comune e della sua storia, sia una mobilitazione positiva della propria economia, attivando flussi esterni legati alla nostra emigrazione ed a quello che oggi si chiama turismo delle radici. Dando all’emigrazione la possibilità di tornare a ricoprire quel ruolo di grande risorsa che esso rappresenta e che già i n passato a saputo dare prova di rilancio dell’economia locale. (Salvatore Augello)